
Il passato ha un problema: non grida. Non protesta, non fa petizioni, non va in televisione a lamentarsi. Il passato resta sotto terra, stratificato, in attesa che qualcuno si accorga che sta scomparendo. E quando sparisce del tutto, non succede niente. Nessuna sirena d’allarme, nessun telegiornale d’emergenza. Solo una targa commemorativa, magari una passerella sopraelevata con una spiegazione in font istituzionale.
Antonello Murgia Pisano lo sa. E ha deciso di farlo gridare lui, il passato. Il suo cortometraggio, Sui tetti di chi dorme, è un pugno nello stomaco, un canto funebre e una dichiarazione d’amore, un viaggio dentro la necropoli punica più grande del Mediterraneo, un luogo che è storia viva, ma trattato come un’arena dismessa. Dopo aver girato l’Europa e New York, il film arriva al Festival Archeologico di Firenze, portando con sé le voci di chi non può più parlare. Dedicato a Giorgio Todde, scrittore e medico che ha passato una vita a difendere il patrimonio archeologico sardo, il corto racconta Tuvixeddu, la necropoli che ha visto tutto: Cartaginesi, Romani, bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, speculazioni edilizie, progetti di riqualificazione che sembrano più che altro operazioni di maquillage urbano.
Oggi il sito è un parco. Aiuole, passerelle, qualche cartello informativo. Un colpo di scopa sopra millenni di storia.
Ma “Sui tetti di chi dorme” non è un documentario da festival culturale, di quelli che vengono visti solo dagli addetti ai lavori e commentati con mezze frasi compiaciute. È una storia di voci che emergono dalla roccia, quattro fantasmi che camminano tra le tombe, interpretati da Lia Careddu, Rossella Faa, Fabio Marceddu e Isabel Moiño Campos. Non sono semplici spettri, sono Cagliari, la Legge, il Popolo e la Poesia. Sono tutto quello che è stato sepolto sotto il cemento e le ruspe. Accanto a loro, un pescatore solitario nella laguna di Santa Igia (Sandro Loi) e una danzatrice tra le tombe (Carla Onni). Lui getta la rete in un mare che non gli restituirà risposte. Lei si muove tra i sepolcri come se potesse risvegliare qualcosa, ma il punto è proprio questo: ne è capace? È davvero possibile?
Nel film, incisa tra le tombe, appare una frase in codice morse. Un SOS, un messaggio d’emergenza che nessuno leggerà. Il parallelo è inevitabile: quando il Titanic stava affondando, nel 1912, lanciò un disperato segnale in codice Morse. Nessuno rispose in tempo.
“Stiamo facendo la stessa cosa con il nostro patrimonio culturale,” dice Murgia. “Siti come Tuvixeddu mandano segnali d’aiuto, ma l’attenzione pubblica è altrove. Stiamo perdendo la capacità di ascoltare.”
Alla proiezione fiorentina, gli applausi sono stati lunghi, convinti. Il viaggio del film continuerà all’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado e in altri festival. Ma il vero punto è un altro: basterà? Basterà un film, un applauso, un dibattito, per svegliare chi deve decidere? O il passato continuerà a sparire nel silenzio, senza nemmeno il lusso di un segnale d’emergenza?
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