Marco Melis, il designer sardo che firma gli occhiali di Monica Bellucci e Spike Lee

Marco Melis
Marco Melis

Dalla Sardegna al cuore del design italiano, Marco Melis produce occhiali unici che conquistano anche le celebrità. Tra i suoi clienti: Michelle Hunziker, Claudio Baglioni, Spike Lee. Le sue creazioni non seguono le mode: ogni occhiale è un gesto sartoriale che racconta un’anima, una storia, un’identità.

Com’è iniziato il tuo percorso nel mondo del design di occhiali?

Ho iniziato il mio percorso in Veneto, al distretto dell’occhiale: è nato tutto dal bisogno di vedere oltre. Sono sempre rimasto affascinato da come un semplice oggetto potesse trasformare il volto, e l’anima, di chi lo indossa. Poi ho capito che non volevo solo osservare questa trasformazione: volevo creare qualcosa che parlasse direttamente a quell’anima.

Dove trovi l’ispirazione quando crei un nuovo modello di occhiali?

Osservo il modo in cui ti vesti, come ti muovi, il tuo modo di porti. Guardo la tua sfrontatezza o la tua timidezza, i tuoi colori, i dettagli che parlano di te. È da lì che nasce la mia ispirazione.

Il primo modello disegnato? Che ricordi hai?

È stato un occhiale in acetato, si chiamava “Barra”. Ricordo perfettamente la sensazione contrastante di quel momento: la paura di sbagliare, ma anche l’ebbrezza di creare qualcosa di mio. Quel modello, nato quasi in punta di piedi, anni dopo è arrivato fino alla MotoGP.

Può nominarci alcune personalità che hanno indossato i suoi occhiali?

Ho creato occhiali per Michelle Hunziker, Monica Bellucci, Claudio Baglioni, Spike Lee, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, Danilo Petrucci, Claudio Santamaria, Anna Foglietta.

Come riesci a distinguerti nel mercato?

Non realizzo occhiali in serie: ogni mio modello è una limited edition, una capsule. Ciò che mi caratterizza è l’approccio sartoriale: sono, in un certo senso, il sarto degli occhiali. Ogni pezzo nasce su misura, pensato per raccontare qualcosa di unico.

Quanto della tua identità sarda entra nei tuoi progetti?

Ogni mio occhiale porta con sé un frammento di Sardegna: la terra, il vento, il silenzio, la sobrietà. Tutto vive dentro ogni pezzo che creo.

Hai una routine quando inizi una nuova collezione?

Sì, tutto inizia così: con il silenzio, una matita e nessun vincolo. Ma in realtà, il processo creativo parte prima, dentro di me. Scatta quando guardo le persone, quando colgo un dettaglio nel loro modo di vestire, di muoversi, di essere.
Mi piace immaginarle con un paio di occhiali che ancora non esistono, ma che vedo già nitidi nella mente. È lì che nasce l’ispirazione, in quell’incontro tra la mia visione e la loro essenza. Perché, come sempre, tutto ruota intorno all’anima della persona. È lei che guida la mia mano.

Parte più difficile e più gratificante del lavoro?

La parte più difficile è far capire al cliente qual è la strada giusta per costruire la propria identità. La parte più gratificante è quando ci riesco. Quando vedo negli occhi di una persona la felicità di riconoscersi anche in un accessorio. Perché un occhiale, se costruito sull’anima, non è solo un oggetto: è protezione, forza, stile.

Come la tua esperienza ti ha portato a fondare il tuo marchio?

Capisci che stai facendo qualcosa di importante quando ciò che crei diventa un segno distintivo. Quando riesci a creare un occhiale che raffiguri l’anima del tuo cliente. Un occhiale che non solo racconti la loro identità, ma la rappresenti così bene che, anche senza logo, venga immediatamente riconosciuto. Quando riesci a farlo per gli altri, capisci che puoi farlo anche per te. Sono occhiali di carattere, nati da un bisogno profondo: quello di libertà.

Cos’è il “tocco Marco Melis” in un occhiale?

Un’imperfezione cercata, una linea che non vuole piacere a tutti, ma sedurre chi la riconosce.
È il coraggio di essere autentici, di lasciare un’impronta che non segue le mode, ma le persone vere. Un dettaglio fuori schema, dove la bellezza nasce proprio da ciò che non è perfetto.

Quanto conta oggi il made in Italy in questo settore?

Tantissimo. È per questo che, sulle mie aste, non scrivo “Made in Italy”, una dicitura che ormai possono usare in tanti, anche quando non lo è davvero. Io preferisco scrivere: “Fatto da un italiano”. Una scelta provocatoria, forse, ma sincera. È un modo per dire che quell’oggetto ha un cuore che batte. Invisibile, sì, ma essenziale. Senza di lui, non vivi.

Che consiglio daresti a un giovane designer che sogna di entrare in questo mondo?

Disegna quello che non vedi, quello che ancora non esiste, immagina quello che manca. Non inseguire il mercato, crea un’emozione.
Diventa professionista di te stesso. Gli altri penseranno a vendere, tu pensa a lasciare un segno che resista al tempo.

prova
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